(di Luca Ariesignis Siliprandi)
Quando si sente parlare di Antenati a cosa ci si sta riferendo esattamente? A chi ci ha semplicemente preceduto nascendo prima di noi (che è la definizione letterale di antenato) o a chi, fra questi, ha contribuito alla nostra linea di generazione che ci ha portato ad essere qui ed ora (progenitori…madre-padre/nonni/etc. etc.)?
Può sembrare una domanda banale e/o di poco interesse ma per molto del paganesimo contemporaneo, si tratta di una questione tutt’altro che oziosa. Molte delle tradizioni pagane, infatti, condividono in diversa misura un profondo rispetto per “gli antenati” e, proprio per questo, forse vale la pena fare assieme qualche riflessione al riguardo.
Normalmente, in antropologia e nella fenomenologia delle religioni, il cosiddetto ‘culto degli antenati’ è caratterizzato, appunto, dal culto tributato a chi si ritiene fondatore e generatore di un lignaggio familiare o di una tradizione spirituale. Il culto reso all’antenato è considerato come qualcosa di influente sulla vita del singolo, non fosse altro per le influenze sottili -e non- che questo ‘ricollegarsi’ comporta. Qui, nel paganesimo è marcata una differenza sostanziale con le religioni che, ad esempio nel cristianesimo, rispetto ai trapassati ha un approccio commemorativo dei propri morti quali progenitori (in genere la commemorazione è riservata ai soli ascendenti immediati e non a mitici fondatori divini, archetipi spirituali o quant’altro). Fin qui, credo, tutto il discorso è lineare e semplice.
Tutto si complica, invece, quando a forza di usare alcune parole come “stirpe”, “sangue dei padri” (e le madri?), “cultura primigenia” e “tradizione degli avi” vengono più o meno consapevolmente a mischiarsi in modo confuso i concetti di antenato/spirituale e progenitore/generatore.
Davvero qualcuno pensa che sia questione di DNA?
Eh, sì, c’è qualcuno che lo pensa. Ed è un pensiero semplificante e talmente ‘da bar’ da mettere la persona del caso in enormi difficoltà, logiche e argomentative, prima ancora che spirituali. In America, ad esempio, dove per comprensibili ragioni storico culturali, fatti salvi i Nativi, la questione delle proprie origini etniche e di provenienza culturale è molto sentita, nell’ambito del paganesimo sta avendo una certa diffusione l’analisi del proprio DNA mitocondriale per capire da che area del vecchio continente si proviene e, conseguentemente, eleggere il proprio “pantheon di appartenenza”.
Peccato che questo sia, da un punto di vista storico e scientifico, una colossale panzana (per usare un eufemismo). Smontare la pretesa storica è semplicissimo… pensate all’impero Romano nel suo momento di maggiore estensione territoriale; avevamo famiglie Romane (de Roma proprio) da generazioni che tributavano offerte a Iside (culto egizio) o che seguivano il culto di Mithra (religione persiana) e, per converso, abitanti dell’attuale Germania che offrivano a Giunone. Smontare la pretesa scientifica è ancora più facile: nel nostro DNA abbiamo così tante e tante stirpi , provenienze di genti etc. che dichiararsi “puri” in qualsiasi senso è impossibile.
Tuttavia, se andiamo oltre a questa semplificazione e, per farlo, me ne permetterete una altrettanto grande, qualcosa, forse, ci viene suggerito dal paganesimo antico. Ovvero, non necessariamente il culto offerto ai propri progenitori è inscindibile da quello dei propri antenati. Vi suona strano? Eppure, se ci pensate, questo non era estraneo ad uno dei più grandi ed elevati esempi del mondo antico (fosse anche solo per durata e vastità), ancora una volta: Roma.
Ogni famiglia, offriva e ritualizzava il legame con i progenitori, archetipi e presenze concrete della propria famiglia come costituzione sacra di una sequenza di generazione che portava con sé un disegno, una direzione; eppure, quali fossero i tuoi progenitori, africani, iberici o quant’altro, come cittadino romano, condividevi qualcosa che andava oltre, ed erano gli antenati… la fondazione, la storia di Roma era LA TUA, indipendentemente dalle origini della tua famiglia. Era una idea, concreta e spirituale.
(Al proposito, suggerisco Ad Maiora Vertite, sempre ricchissimo di ricerche e spunti, che con assai maggior competenza del sottoscritto può parlare dell’argomento ed eventualmente smentirmi!)
Questo di Roma, comunque, vuole solo essere un esempio per passare ad altro che mi preme moltissimo: è anche nelle tue mani la possibilità di contribuire alla storia della tua progenie lavorando per la connessione a quelli che ‘senti’ essere i tuoi antenati (spirituali).
Il punto, però, è che stiamo parlando di un dialogo: non di un monologo. Spingendo al paradosso -non vuole essere una provocazione-, puoi pure tentare di connetterti agli antenati della religione Hawaiana, puoi volerlo, desiderarlo e sentirlo con tutt@ te stess@ ma, come in ogni rapporto di amore, si deve essere -almeno- in due. Qui, si deve prestare attenzione al fenomeno dell’appropriazione culturale non per ‘consapevolezza antropologica’, ma per una semplicissima questione di efficacia.
Il “voglio fortissimamente voglio”, nulla può supplire rispetto al fatto che se un certo modo di sentire profondo, di vivere anche concretamente in un contesto culturale, vi è estraneo, ecco, tolte eccezioni più uniche che rare, dall’altra parte della cornetta non vi risponderà nessuno.
Gli antenati hanno a che fare con il nostro cammino, ma cosa ne pensano?
Quando ero bambino, non troppo distante da dove abito, venne almeno 3-4 volte Birgil Kills Straight (spara diritto), capo tribù dei Lakota Sioux di Pine Ridge del Sud Dakota. E’ passato oltre a febbraio di quest’anno. Quando non in delegazione ufficiale, vennero in ordine sparso anche negli anni successivi. Finalmente, a pochi anni dalle suggestioni di “Balla con i Lupi”, con la patente in mano e una vecchia Fiat Regata familiare dismessa da mio padre, ebbi modo di conoscere ‘sti “indiani di america” (forse era il ’98?). La metà di questi era piuttosto alticcia, i restanti se ne stavano per i fatti loro attorno al fuoco. Io mi guardavo attorno come se da un momento all’altro dovessi assistere a chissà quale teofania. Oh, cavoli, erano indianiiiiiiii, grande spiritooooo, naturaaaaa. Insomma, ero affascinato e pendevo da quelle labbra e da quelli che vedevo girargli attorno. E appunto, attorno, c’erano 3-4 italiani, che con una malcelata e fintissima nonchalance tentavano di inserirsi nella situazione, ‘da indiani’. In particolare, ricordo una signora. Si avvicinò ad uno dei Lakota, e disse qualcosa del tipo: “sai, anche noi facciamo qui le capanne sudatorie”. Lui sorrise, poi rise, poi sempre di più… la signora diventò rossa in viso, lui riprese il controllo e, sempre sorridente, le disse: “ma tu hai mai visto un bisonte?”.
Bene. Per me, da poco maggiorenne, fu una grandissima lezione. Cosa c’entra con gli antenati? Credo abbia a che fare eccome. Noi non possiamo semplicemente ‘decidere’ quali siano a prescindere dalle nostre concrete esperienze, a prescindere dal nostro modo di vivere, di essere, di misurarci con le cose. Se ‘come in alto così in basso’ è vero, lo è anche per questo: così come lo spirito interviene sulla tua realtà e materia, così la tua concretissima realtà quotidiana interviene sui piani sottili… io non so cosa sia un bisonte allo stesso modo con cui loro non sanno dei ‘miei’ boschi. Così, se devo ‘trovare’ i miei antenati, ho visto per esperienza che quelli che alzano la cornetta e rispondono sono più facilmente quelli che conoscono il ‘tuo bisonte’: la peculiarità del tuo vissuto, della tua terra, quella che porti appiccicata sotto i piedi anche se non lo sai o non te ne accorgi.
Alla fin fine, a costo di ripetermi per la 100esima volta, credo che tutto stia nell’ascoltare, ascoltare tanto. Fidatevi almeno un pochetto, non avete bisogno di ‘cercare’ o ‘trovare’ gli antenati… ascoltate, a trovarvi forse ci han già pensato loro.
Ascoltare significa, anche, ascoltarsi. Alle volte desideriamo così tanto una cosa o, anzi, l’idealizzazione che ce ne siamo fatti, da rendere tutto muto alle nostre orecchie. Vi faccio un personalissimo esempio basato sui marshmallow.
I marshmallow si presentano benissimo, ma in fondo… preferisco il tiramisù
Al netto dei leciti gusti personali, la storiella che seguirà circa marshmallow e tiramisù mi è utile per tentare di raccontare la questione dell’ascolt-arsi.
Da bambino mi avevano regalato il “Quinto Manuale delle Giovani Marmotte”, dove, fra le pagine, stava questo disegno di Qui-Quo-Qua davanti al fuoco ad arrostire marshmallow. Si parla di tanti e e tanti anni fa, quando l’ananas era un frutto tropicale costoso che si mangiava forse a Natale e nel mio paesino di provincia le cose più americane mai viste erano coca cola e popcorn. Che cavolo erano questi tronchetti bianchi così invitanti infilati a spiedo sul fuoco? Per giunta, dicevano, dolci.
In Emilia, se accendi un fuoco e usi brace per cucinare qualcosa si tratta di carne di maiale sì o sì. Non capivo. Impiegai qualche settimana a scoprire che il loro nome era marshmallow. Decisi che, per definizione, dovessero essere buonissimi. Perfetti, inarrivabili. Ci credevo molto, moltissimo.
Passarono gli anni e, in un giorno fatidico, finalmente trovai i marshmallow. La faccio breve. Sarà stato forse a causa dell’idealizzazione, o forse a causa del fatto che non amo robe tiragne e gommose, beh: una delusione.
Se sei cresciuto a tiramisù, crema catalana e crostate con marmellate preparate in campagna, difficilmente amerai i marshmallow, anche se ti sembravano bellissimi, fighissimi, buonissimi.
Tutto questo per dire che un palato educato in un certo modo piuttosto che in un altro, non dovrebbe ignorarsi in nome di aspettative ed idee vaghe… ma una volta che si provi, debba prenderne atto. Ascoltare.
E mi direte, ma che c’entra con gli antenati o i progenitori? Semplice: i nostri sensi e il nostro palato -per così dire- sono quanto di più vicino e immediato abbiamo per dialogare loro! Creare un legame con i propri Antenati significa, innanzitutto, ascoltare, certo, ma anche, in un qualche modo, scegliere. So che quanto scrivo può sembrare a tratti contraddittorio, uno zibaldone di idee confuse, ma non è colpa mia né è un mio problema.
So che non ho altro modo per rappresentare una così vasta complessità se non così, con i miei limitatissimi mezzi. Ma veniamo al cosa fare.
Ad Ovest abbiamo le foto di Gardner, Valiente e molti altri
Nei mesi freddi e in alcune occasioni a cui si confà, ritualizziamo al chiuso, in quello che chiamiamo ‘Occultum’. Lì, ad ovest, dove sono i ‘guardiani di morte ed iniziazione’ abbiamo appese le foto di tutti i nostri ‘antenati’ spirituali (e di linea iniziatica); però, questo poco vi può suggerire se non con questa incitazione: vedetela come un serratissimo corteggiamento.
- Riprendere perlomeno la commemorazione dei propri progenitori. Commemorare non è prestare culto ma già sarebbe qualcosa. Partire dalla propria famiglia, nel senso vero del termine, che prescinde da qualunque sia la sua composizione.
- Cercare di conoscere le vicissitudini della propria famiglia anche in anni meno recenti. Credetemi, si possono scoprire cose interessantissime che influenzano la nostra vita enormemente.
- Tentare di individuarsi in un percorso che, per quanto singolo, unico ed irripetibile, in fondo in fondo, davvero pensate di esserci solo voi ad avere fatto qualcosa di simile?
- Sentire cosa ne pensano gli antenati (eh, lo so, sembra vi stia prendendo in giro, ma questo è il punto), che non necessariamente sono i tuoi trisavoli…
- Essere consapevoli che ‘antenati’ significa anche e soprattutto qualcosa che ci precede in termini spirituali ed agire di conseguenza.
Categorie:Pensieri in libertà