Quando la saggezza è semplice: della vita, della morte e altre inezie da accompagnare con buona musica Rock

(di Luca Ariesignis Siliprandi)

AVVISO: Vi anticipo fin da subito che questo articolo mi sta nascendo ora sotto le dita a partire da accadimenti biografici del sottoscritto, quindi, chiedendo scusa, spero non vi annoino troppo alcune note personali. I nomi sono di fantasia, la storia, purtroppo: no. Ad ogni modo, al di là dei fatti miei, desidero condividere un racconto che credo possa avere un senso più generale per tutti.


Si chiamava Piero (ovvio, no), 70 anni (sì), aveva lavorato come istruttore di scuola guida, imbianchino e di tutto un po’. La prima moglie, pittrice meravigliosa e delicatissima, distrutta e logorata da una lunga depressione, non era riuscita a reggere oltre suicidandosi e lasciandolo con un bimbo. Dopo anni, risposatosi, amava fottutamente suo figlio, la sua nuova moglie e famiglia tutta, gli impianti stereo di buona qualità con casse decenti e la sua terra, che è anche la mia.

Ieri è morto. Schiacciato da una pianta che stava tagliando.

Era uomo nato e cresciuto in campagna, uno di quelli che, il lunedì, ti sapeva dire “taglia il prato entro sabato mattina perché poi, alla sera, pioverà”… insomma, sapeva il fatto suo. Però, però, ieri, è stato tradito dal vento, dalla sfortuna, o forse anche dalla troppa fiducia nella sua esperienza. Ora, poco importa. Importa, invece, che amasse il Rock, quello vecchio, degli anni ’70: Deep Purple, Led Zeppelin, Jethro Tull, eccetera, eccetera, li conobbi grazie a lui e a suo figlio con cui ho suonato agli inizi dell’università… 20 anni fa (sì, ero un chitarrista, mediocre, ma alla fine l’assolo di Highway Star imparai a suonarlo – vedi a 3:44). Ok, ancora un attimo, vedrete che arrivo al punto.

Dicevamo, amava il Rock e saper distinguere la stagionatura di un salume solo guardandolo appeso (in Emilia, i salumi, sono cosa quasi sacra). Insomma, non un intellettuale ma uno tosto. E aveva quella saggezza semplice ma profondissima che ho incontrato quasi sempre in persone come lui: gente che si è macinata una vita di quelle dure, ci sono saltati fuori e, pur non avendo letto tanti libri, davvero, qualcosa l’hanno capito. Sul serio.

Sul serio.

Se ancora reggete, fate un sospiro, soprassedete che ci siamo quasi, giuro.

Andiamo.

Avevo 20 anni, dopo tre anni assieme mi aveva lasciato la mia ragazza di allora… ero giovane ed innamorato, credevo sarebbe stata ‘LEI’: ero distrutto come può esserlo un ventenne in una situazione simile. All’epoca, come dicevo, suonavo con suo figlio. Sala prove accanto a casa sua.

Lui arriva, mi guarda, mi mette una mano sulla spalla, sorride. Dice: “Ho saputo”. Piango. Lui sorride -ancora- e prosegue: “Vedi, Luca, cazzo, tu corri troppo”.

Lo guardo confuso, “In che senso?”. “Ecco”, dice lui, “Quando avevo più o meno i tuoi anni, con i miei primi soldi guadagnati mi comprai un’auto, una bellezza di auto, di quelle che correvano sul serio, ne ero molto orgoglioso, pensa, non esistevano ancora le cassette… ma avevo un lettore per le stereo 8, tipo le cassette ma più grosse.. voi avete i cd, le cassette, te le ricordi?” –  “Certo certo, ne ho ancora… stereo 8, non so, non credo di averne viste”. Amen, mai ne vedrò. Ad ogni modo, continuò il suo racconto: “comunque, poi capitò l’occasione di dover andare con mio padre in autostrada…”

Continuavo a non capire, lui proseguì, ” volevo far vedere a mio padre che razza di auto avevo, e pigiavo l’acceleratore… ma mio padre restava in silenzio, non diceva nulla. Insomma, non mi dava soddisfazione” – “allora, dopo l’ennesimo sorpasso, dico ‘oh, hai visto come fila questa auto?’, mio padre resta un attimo in silenzio, si gira verso di me e dice: sì, arrivi prima a pagare al casello”.

“Tutto ha un tempo, nella vita è inutile correre e pensare di arrivare prima, ci arrivi quando devi arrivare, comunque. Poi, sì, c’è sempre un casello, sempre” – “Guarda me, la vita, la campagna te lo insegna ogni giorno, quando la capirai sarai adulto… per ora stai solo correndo in auto. Per potare si aspetta l’autunno, per crescere si aspetta la primavera e ce ne saranno tante”. Mi portò a sentire i Jethro Tull e, soprattutto, è stata la prima voce a dirmi con parole semplici, semplicissime, quel che oggi è per me un celebrare i ritmi dell’anno, delle stagioni e della vita. Lui si chiamava Piero (no), ed è morto ieri.Tutto ha un tempo. Che questa terra ti sia lieve, ‘Piero’. E se piango, cosa che a te non piaceva, è perché ascolto Highway Star, va bene? Non per altro, ok?

Mi auguro che questo piccolo racconto possa essere una ricchezza per gli altri così come lo fu per me e, attraverso questo, possa restare la tua saggezza ‘semplice’, di vita, di morte e di rock’n’roll.

Ah, il suo vero nome era Viller. Tanto dovevo.



Categorie:Pensieri in libertà, Riflessioni

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