(di Luca Ariesignis Siliprandi)
Nell’avvicinarsi dell’equinozio di autunno quando, seguendo la parabola calante del sole e delle stagioni, scendiamo in noi ritornando all’interiorità, vedo la straordinarietà di questo anno 2020a.e.v. terribilmente duro. A ben vedere, questo intero anno è stata una ‘discesa’ , non solo questa fase stagionale. E’ stata e sarà difficile. C’è chi ha perso persone care, chi il lavoro e chi, semplicemente, la libertà di poter vivere la vita di sempre. Questo ‘scossone’ alle abitudini però, per molti -me compreso-, ha anche sciolto incantesimi ed inganni. C’è chi ha deciso di cambiare vita in mille modi, vuoi il lavoro, vuoi intervenendo su faccende più intime come le relazioni ma, sempre, e questo è interessantissimo, riscoprendo nelle proprie profondità una sorta di “scusate tutti, non me ne ricordavo più, ma veramente vorrei vivere una vita diversa da questa”. Mi aspetto dunque che il prossimo sabba, Mabon o come preferite chiamarlo, sarà incredibile, qualcosa di mai visto prima, perché probabilmente potremo sondare profondità a cui normalmente non siamo abituati. Profondità in noi e fuori da noi. Quando pensiamo all’autunno, le prime immagini che appaiono alla nostra mente sono foglie cadenti, e lo spogliarsi degli alberi… quest’anno, invece, sono portato a pensare all’oceano. Cosa strana per chi vive in una pianura dell’entroterra. Il fatto è che, quest’anno, sento un odore salmastro di onde che rimescolano strati immoti dove non arriva la luce del sole da sempre.
La nostra Anima dialoga con abissi che, di tanto in tanto, riescono ad emergere cambiandoci la vita o anche solo alcuni atteggiamenti. La nostra Anima, anche, è in contatto con un oceano ancora più profondo dei mari e delle maree personali. Con qualcosa di più antico.
Pochi sanno che sul fondo dell’oceano, a 6000 metri di profondità, sepolti da qualche centinaio di tonnellate di un fango nerastro che ricorda le ere dei dinosauri, vivono batteri che hanno oltre 100 milioni di anni. Sì, non scherzo (qui l’articolo scientifico) e pare costituiscano una componente assolutamente rilevante della biomassa dell’intero pianeta (pare fra il 30 ed il 50%). Come dicevo, ci sono ‘cose’ antichissime sul fondo, e la nostra Anima può arrivare fin lì, nel mondo archetipale, così come alla nostra memoria genetica. Il buio e la profondità fanno paura, è vero, ma abbiamo solo due possibilità: o fare finta di ignorarne l’esistenza (ed esserne in un qualche modo controllati nostro malgrado), o iniziare ad esplorare questi territori.
Per chi ha deciso di intraprendere la seconda strada ed immergersi, il modo che suggerisco per farlo non è attrezzarsi come un palombaro, ma adattarsi all’acqua e, per così dire, essere come lei: ascoltatevi, senza decidere già la forma del vaso perché l’acqua ne prenderebbe irrimediabilmente la forma.
Ascoltate le profondità dell’acqua come acqua. Come foste una corrente oceanica che, raffreddandosi, andasse a scendere infilandosi nelle profondità, fino a toccare questo limo nero, pieno di vita antichissima. Lasciate sulla superficie la vostra forma, il vostro nome, il vostro essere questo e quest’altro. Tanto più vi spoglierete, tanto più scenderete. Una bellissima ‘preghiera’ buddhista, il notissimo cosiddetto “Sutra del Cuore’ potrebbe darvi una buona indicazione su quanto intendo: “La forma non è distinta dal vuoto, il vuoto non è distinto dalla forma; la forma è proprio tale vuoto, il vuoto è proprio tale forma; se questa è la forma tale è il vuoto, se questo è il vuoto tale è la forma, non nati né distrutti, non puri né impuri, non si accrescono né decrescono, Non v’è Sofferenza, né Causa, né Liberazione, né Via [che vi conduca][…]”. A prescindere dalla sua provenienza, questo sutra spiega benissimo lo ‘scendere’ di cui vi sto parlando ora.
So che verrà spontaneo a molti mandare a memoria la chiamata dell’ultimo quarto (ovest) “[…] Guardiani di Morte e Iniziazione […]”, ed è corretto. Perché iniziazioni rituali a parte, possiamo rivivere questo confronto ogni anno e, questo, al riguardo lo è senz’altro in modo molto particolare.
Non so se per l’equinozio riceverete o meno iniziazioni interiori o, per così dire, di “gnosi personale”, non so nemmeno se quel che ho detto lo sentite con la stessa intensità che avverto io, ma credetemi, l’equinozio sarà un momento di grazia per lavorare su questo.
Nessuno vi chiede di arrivare a toccare il fondo antichissimo dell’oceano, basta arrivare più in profondità anche di un solo metro.
Per farlo, dovrete rinunciare a qualcosa, e sarà l’unico modo per “riaverla in un modo altro”. Quello che ogni giorno per noi è una sorta di zavorra utile al radicamento, in acqua vale come un salvagente pieno d’aria che ci ributterà a galla. Si badi, non sto suggerendo di perdere ‘radicamento’ o ‘centratura’, anzi, ma di considerare la questione in modo e con strumenti differenti. All’oceano non importa di voi, o importa in un modo molto differente rispetto al vostro essere ‘individuati’ in questa persona fatta così e cosà con quel nome, con quei capelli, con qui pensieri etc., lo spiegava bene A.Moravia: “[…]sulle acque degli oceani non è possibile soggiornare, mettere radici, abitare, vivere stabilmente. Nel deserto come nell’oceano bisogna continuamente muoversi, e così lasciare che il vento, il vero padrone di queste immensità, cancelli ogni traccia del nostro passaggio, renda di nuovo le distese d’acqua o di sabbia, vergini e inviolate[…]”; quindi non prendetevela troppo se l’Oceano non applaudirà quando farete un metro oltre nel vostro record di profondità. Il punto, non siete voi, non siamo noi. Per lui, il punto, non c’è. So di essere un po’ criptico, ma non mi è dato di farlo in altro modo.
Buona immersione.
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