(di Luca Ariesignis Siliprandi)
Recentemente sono stato sull’isola di Tenerife dove ho scoperto una specie di pino davvero interessante che mi ha suggerito tante riflessioni.
Si tratta del Pinus Canariensis, o pino delle Canarie, una pianta che può arrivare ad età ultramillenarie, raggiungere i 45 metri di altezza e oltre 3 di diametro del tronco… e, sopratutto, ha una corteccia particolare in grado di difenderlo dagli incendi. Non che non bruci, anzi, all’esterno brucia eccome, ma la corteccia ne preserva il cuore e, dopo lo shock, gradualmente tornerà a verdeggiare. Insomma un bel esempio di resilienza:
resilienza – /re·si·lièn·za/ – sostantivo femminile
1. Capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi.
2. In psicologia, la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.
Resilienza è un termine che va tanto di moda e, seguendo lo spirito del tempo animato dal più assoluto individualismo, è sempre pensata come una caratteristica che riguarda la persona singolarmente, come se non esistesse altro fuori da lei. Io io io io e ancora io: questo è il trend. Tutti a dire che l’Ego è cosa da combattere a priori (in realtà, un suo senso lo ha eccome), salvo poi concentrare sul proprio individualismo ogni passo del proprio cammino… ma vabbé, non è di questo che voglio parlarvi oggi.
Torniamo al nostro Pinus Canariensis, pianta tostissima che affronta perfino gli incendi innescati dalle eruzioni vulcaniche dell’isola. Questa pianta non si limita alla sua sopravvivenza, ha un’altra dote, i suoi aghi sono in grado di condensare l’umidità portata dai venti Alisei e di precipitarla al suolo goccia dopo goccia: quasi 2500, duemilaecinquecento!, litri d’acqua all’anno. E, sapete cosa? La parte divertente è che a lei, per sopravvivere, ne bastano 500. In buona sostanza, non solo resiste agli incendi, ma la sua resistenza è fondamentale affinché possa ricrescere un’intera foresta. Si salva, si riprende, e dona acqua affinché possa tornare il verde la dove è tutto bruciato. E’ proprio quest’ultimo aspetto che mi ha fatto tanto pensare.
Siamo e saremo sempre quelli al limitare del bosco, quelli fuori dal villaggio
In questo periodo (caratteristica tutta italiana) c’è chi dimentica che la Wicca nasce ed è nella stregoneria, ed anche se nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad uno spostamento di pesi che ha portato oggi l’accento sull’aspetto religioso-devozionale (insomma meno magia e più Dèi), dobbiamo forse riacquistare la consapevolezza che il termine ‘stregoneria’ ha anche un valore storico e sociale legato all’essere diversi, ‘al margine’. Piaccia o meno, non temo di dire che “nostri sono i diseredati, i ripudiati, i poveri, gli affamati, i diversi”. Sono, siamo e saremo sempre quelli al limitare del bosco, quelli fuori dal villaggio, pronti a dare una medicina a chi il giorno prima ti ha insultato e il giorno dopo prepara la legna per ardere (noi), a dare ospitalità al fuggitivo e parole di conforto all’incompreso. No, questo non significa ‘porgere l’altra guancia’, significa essere virtuosi, e dare acqua alla terra nonostante gli incendi. Significa rispondere alle fiamme dell’intolleranza, senza retrocedere, resistendo anche se si è in minoranza, anche se si è in una posizione scomoda. Per questo c’entra il Pinus Canarienis!
C’entra, c’entra perché la ‘resilienza’ nostra, è appunto quella dei reietti, che non è solo il resistere all’incendio, ma donare anche acqua alla terra bruciata. Noi siamo gli antenati delle streghe che verranno domani… e creare spazio, creare il terreno e il clima giusto, è cosa che ci spetta e appartiene, è il ruolo che ci viene richiesto adesso (o forse da sempre, non so). Può darsi che questa urgenza sia solo mia? Non credo. Vedo attorno a me la terra chiamare e in tanti rispondono. Certo, come ho scritto qui, alle volte è difficile, ma il ‘bosco italiano’ è ormai una realtà concreta e forte. Anche chi è agli inizi del proprio cammino può contribuire, iniziando in primis a non avere la pretesa di ‘fare informazione’ quando ancora deve del tutto formarsi e, secondo, per l’appunto, cogliendo ogni occasione buona per inserirsi nella comunità già esistente dove troverà senz’altro modo per portare la propria ricchezza ed i propri doni personali diventando un altro pino resistente al fuoco.
Wicca e stregoneria sono anche impegno sociale e non solo un percorso ‘intimo e personale’
Abbiamo bisogno di una foresta dove non ci siano solo alberi secolari, ma dove migliaia di aghi di pino, di qualunque età, continuino ad innaffiare, senza cedere terreno. Perché la Wicca e la stregoneria tutta, direi anzi l’intero mondo pagano, sono anche impegno sociale, qui ed ora, non solo un percorso ‘intimo e personale’.
“La stregoneria è come una spada senza impugnatura, non c’è un modo sicuro di brandirla. Ma […] quando sei circondato dai nemici, anche una spada senza impugnatura è meglio di una mano vuota” (sì, è George R. R. Martin, lo confesso)
No, la spada ha una impugnatura eccome: noi. Noi che questo portiamo avanti, nonostante il rischio di incendi, come il pino delle Canarie. Credo lo dicesse la Funke (autrice de il ‘Labirinto del Fauno’) che, per quanto possiamo desiderarla, la vera magia è qualcosa di agghiacciante… in effetti, ci chiede spesso sacrifici enormi come l’uscire dal nostro serraglio, dalle comodità o, per dirla con un neologismo, dalla nostra comfort zone. Uscire allo scoperto, resistendo agli incendi e poi restare nell’ombra portando l’acqua degli Alisei. Peraltro, nonostante gli incendi, Dèi, sono delle magnifiche e colossali foreste.
Se così non fosse stato e non fosse, beh, ci avete mai pensato?… non saremmo ancora qui.
(Sotto, ‘Pino Gordo’, Parco Nazionale della Corona Forestale, Tenerife)
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