L’incensiere, uno strumento sottovalutato

di Luca Ariesignis Siliprandi

Fra tutti gli strumenti classici della ritualità Wicca -e non solo-, l’incensiere non figura né fra i quattro considerati classicamente come principali (pentacolo, athame, bacchetta, coppa), né fra gli oggetti rituali dall’uso specifico come la campanella, la frusta o la scopa; eppure, a ben vedere, è sempre presente, in qualsiasi rituale pressoché in ogni tradizione pagana o meno che sia. Classicamente, per proprietà transitiva l’incensiere viene associato all’elemento aria così come si fa per i fumi dell’incenso, ma come strumento nasconde un significato simbolico più profondo e complesso e, per meglio comprenderlo, dobbiamo andare all’origine delle ritualità più antiche.
A tale proposito, dovremo considerare un altro componente presente in ogni rito: l’altare. L’incensiere, o turibolo è, infatti, il pronipote oramai minore degli antichi altari pagani presenti in tutta Europa, nel bacino del Mediterraneo, così come in Medio Oriente e in India fin a partire dal V-VI millennio prima dell’era volgare.
Cerchiamo assieme di considerare questo collegamento sia storico e sia di significato fra incensiere e altare. In antichità, l’altare era concretamente ed oggettivamente qualcosa di ben diverso quanto siamo soliti immaginare oggi con questa parola; non si trattava, infatti, di uno spazio sul quale erano disposti strumenti rituali o oggetti sacri, bensì luogo in cui erano poste delle offerte o, più spesso, dove queste venivano bruciate in olocausto. L’altare era, dunque, ciò che con termine ancora più specifico, oggi definiremmo un’Ara (si noti che, in greco antico, la parola Ara significava preghiera, voto). Anche l’incenso, che oggi bruciamo nel nostro turibolo, anticamente sarebbe stato consumato proprio sull’altare/ara che, al netto delle differenze di foggia dovuta a periodi e culture, potrebbe essenzialmente riassumersi in un supporto sul quale era acceso un fuoco utile al consumare le offerte.
Rispetto all’uso antico quel che oggi, invece, è normalmente considerato ‘altare’, sarebbe in realtà molto più simile alle mensae romane, sorte di tavoli su cui erano poste le immagini degli Dèi, offerte ed oggetti di culto. Infatti, nella pratica moderna di molte tradizioni, Altare, Ara e mensae si sono fusi in un unico oggetto simbolico. In questo senso, il braciere su cui è gettato incenso d’offerta o bruciata una libagione, va ad essere il paramento sacro più vicino a quel che, etimologicamente ed archeologicamente gli antichi avrebbero individuato come altare/ara, dove l’offerta veniva appunto consumata dal fuoco, dove saliva la preghiera e il voto verso il cielo.
Ora, tornando ai nostri giorni, se separiamo l’incensiere dalla sua origine antica, resta appunto lo scopo, il senso e l’utilizzo dell’essere strumento principe per l’offerta, per “farla salire ed ascendere” come preghiera, consumandola: in quest’ultimo termine, appare il primordiale e più stretto collegamento con un altro elemento che non l’aria, ovvero sia il fuoco. La differenza fra braciere ed incensiere sta certo nel regime e nella quantità del fuoco, piuttosto che non in sostanziali differenze simboliche, perché entrambi assolvono al medesimo scopo, caratterizzandosi il primo rispetto al secondo semplicemente nell’avvicinarsi all’elemento igneo piuttosto che a quello aereo, ma il loro senso profondo resta il medesimo.
Restiamo però un attimo sul braciere e sul fuoco rituale. Questa fiamma o brace è luce che consuma la materia, che la rende sottile e la trasforma in “spirito”, ma anche calore che cuoce, cucina e sterilizza. Slega dalla materialità i contenuti sottili e magici. Qui, l’elemento fuoco è inteso nel suo legame con l’idea di luce che dilegua l’oscurità allontanando gli inganni (anche quelli che ci auto-infliggiamo come credenze e superstizioni), concezione presente anche oggigiorno in modo evidente nella divinità induista Agni (che fece probabilmente da antichissimo modello di questa visione) e che si manifesta nel “fuoco che brucia i sacrifici” , signore del luogo della cremazione e del fuoco della foresta. Che si tratti di un braciere o di un incensiere, sempre ritorna il senso dell’offerta ‘consumata’ dal fuoco e che ‘sale’ al cielo: “Io magnifico Dio, il Divino Fuoco, il sacerdote, Ministro del sacrificio, l’Offerente dell’oblazione, Datore supremo di tesori” (Ṛgveda Saṃhitā).
Aleister Crowley, nel descrivere questo strumento nel suo testo Magick, apre la trattazione parlando del fuoco magico in cui “viene gettata ogni cosa” e che “Simboleggia la consumazione finale di ogni cosa”, ne parla essenzialmente come di un braciere a tre gambe (quasi certamente riferendosi al simbolismo della lettera ebraica Shin, che simboleggia -fra l’altro- il fuoco e lo richiama anche graficamente con tre lingue ascendenti che paiono fiamma) e, anche in antichità, larga parte di questi strumenti rituali erano tripodi. Nonostante il richiamo al fuoco, Crowley dispone il braciere/turibolo ad est (classicamente associato all’elemento aria) e, come lui, diverse tradizioni Wicca optano per questa soluzione mentre, altre ancora, preferiscono la sua presenza sull’altare a nord dove sono usualmente poste le offerte e bruciato usualmente l’incenso. Invero, il posizionamento di questo strumento andrebbe sempre adeguato all’operazione rituale che si sta svolgendo senza eccessive rigidità. Nella nostra Coven, ad esempio, diversi riti prevedono un grande braciere posto al centro del cerchio e, nell’esperienza che ne abbiamo avuto, ha sempre dato ottimi risultati rispetto gli intenti che ci si proponevano.
L’utilizzo di una fiamma viva nei rituali è un’esperienza certamente da provare più e più volte nel proprio percorso personale. Alle volte, la risposta delle fiamme ad una invocazione e ad una offerta appare incredibile e senz’altro al di là di qualsiasi possibile casualità, sia nel bene che ne male (da lingue di fuoco che si sollevano all’istante per altezze di oltre un metro, a fuochi divampante che si spengono in pochi secondi). In tutta l’antichità, ed in particolare nel mondo italico, era di fondamentale importanza comprendere se l’offerta fosse stata gradita agli Dèi che, tramite il fuoco, erano in grado di comunicare apprezzamento o meno. Il fuoco parla, ha una sua lingua e voce propria. Ciò detto, un altro dei momenti più interessanti che vi possa capitare con un turibolo, è il constatare come i fumi dell’incenso possano divenire materia sensibile e visibile delle energie presenti nel rito; non parlo qui di capnomanzia (divinazione attraverso i fumi) che è sì, senz’altro possibile e interessante, bensì dell’addensarsi o dello spandersi del fumo all’interno del cerchio o, ancora del fumo che si dirige in modo evidente verso l’officiante o, ancora, si dispone o si orienta in direzione di precisi punti dell’altare. Personalmente, credo potrei fare a meno pressoché di qualsiasi strumento, ma senza incensiere o la possibilità di accendere una fiamma credo mi sentirei in grandissima difficoltà; infatti, l’incensiere è un utilissimo ausilio non tanto e solo in termini di “azione rituale” quanto, piuttosto, di “ascolto” e di rilevazione di ciò che sta avvenendo intorno a noi durante il rito: senza ascolto, senza sensibilità rispetto a quanto avviene, ogni azione è tendenzialmente vana.

Scegliere e preparare un braciere

Nel caso desideriate offrire incenso o altro facendolo consumare dal fuoco, vi servirà un braciere, se ne trovano di differenti fogge e dimensioni anche online, spesso usati come elementi decorativi per giardini o per fare grigliate alla fiamma. L’utilizzo di questo tipo di strumento, dovrà avvenire quasi necessariamente all’aperto (per ovvie ragioni di sicurezza e per non riempire in pochi secondi la stanza di fumo) e, al riguardo, considerate quanto la sua altezza da terra sia adeguata a non mettere a rischio il prato o la pavimentazione visto che raggiungerà temperature molto elevate. Una volta che abbiate scelto il braciere, considerate che per il fuoco e relative braci, potrete utilmente considerare simbologie e corrispondenze rispetto agli alberi da cui è tratto il legname da ardere. L’accensione del fuoco, spesso è da considerarsi come un momento rituale vero e proprio e suggerisco quindi di valutare come includere questo momento all’interno di una celebrazione piuttosto che, viceversa accendere la fiamma prima di iniziare la ritualità. Per ultimo, nel caso in cui prevediate di fare libagioni offrendo vino o altri liquidi, al fine di evitare che la fiamma ne patisca fino eventualmente a spegnersi, sarà utile posare sul fondo piccole pietre o ghiaia di grossa grana di roccia refrattaria (come pietra lavica) al fine di consentire al liquido di depositarsi sul fondo senza inzuppare le braci Su quest’ultimo punto, fate molta attenzione a quale pietre utilizzerete, perché, specie quelle calcaree e le marne, scoppieranno anche in modo potenzialmente assai pericoloso.

Incenso, prezioso come l’oro

Di incenso ne abbiamo già parlato anche in QUESTO ARTICOLO, ad ogni modo, riassumendo, il suo uso a scopo religioso nel mondo antico era talmente diffuso da costituire un mercato importantissimo fin dal secondo millennio avanti l’era volgare, sia nell’area del bacino del Mediterraneo, sia nelle regioni delle terre basse mesopotamiche, sia nell’altopiano iranico.
Le culture yemenite che dal II millennio a.C. in poi si sono succedute nell’organizzazione dei traffici legati a tali sostanze e nella loro commercializzazione, furono i regni di Saba, dei Minei, del Qataban, di Awsan e del Hadramawt. I regni etiopici, come quello di Axum, invasero più volte le aree sud-arabiche proprio per controllare in prima persona detta commercializzazione e avvantaggiarsene. L’idea alla base del loro uso era che, se sufficientemente intensi e gradevoli, anche aromi di origine vegetale potessero essere graditi agli Dèi così come le vittime sacrificali offerte in olocausto. Così, tutta l’attuale area yemenita (dove per intenderci sorgeva l’antico regno di Saba) ne ricavava grandi guadagni, tali e tanti da spingere a più riprese il regno di Axum (attuale Etiopia) a volgervi guerra così come l’Antico Egitto, a sua volta, fece contro la Nubia per il controllo di questi traffici. Nonostante non fosse il principale paese di produzione, l’Egitto ne fu il più grande esportatore in tutto il bacino mediterraneo, influenzandone con la sua cultura usi e ricette rituali, come fu ad esempio per il cosiddetto incenso Kyphy, uno dei composti più noti dell’antichità, bruciato in ogni tempio egizio -in particolare per il culto Isiaco-. Il Kyphy era considerato così prezioso che pare reggesse larga parte dell’economia dei Templi di Edfu e Philae ed è dalle iscrizioni presenti sulle loro mura che, oggi, conosciamo parte della sua formulazione.
Allora come oggi, le varietà più pregiate ed utilizzate erano la Boswellia nella varietà Sacra, detta anche Beyo, e la Carterii, oggi nota come franchincenso (solo più tardi entrò in uso la varietà Serrata, detta anche Salai Guggul che è di provenienza indiana e troviamo ancora oggi nei prodotti di quell’areale) ma molte altre boswellie, più comuni, entrarono in questo vasto mercato (come la papyrifira, la frereana e la neglecta). Nel tempo, assieme all’incenso propriamente detto, restando nel mondo antico si aggiunsero altre resine pregiate come –per citarne alcuni– la mirra, il laubdanum, il mastice di Chio, il sangue di drago e la sandracca. Poi, con l’espansione dei commerci verso oriente, subentrarono tanti nuovi ingredienti, come il benzoino, il legno di sandalo, la canfora, il dammar, l’oudh e mille altri ancora, alcuni di introduzione moderna e provenienti dal Nuovo Mondo, come il copale e il palo santo o l’elemi.

Stick, Bastoncini, Conetti o resine?

L’incenso e le altre resine in grani, riprendendo gli usi religiosi più antichi, sono la scelta classica e più consueta nella magia cerimoniale così come in quella naturale. Fino a circa 15-20 anni fa non era facilissimo reperire la materia prima non lavorata e certo, ancora oggi, i “bastoncini” sono più rapidi, comodi ed economici, ma spesso contengono miscele di cui è difficile conoscere gli ingredienti e, il loro profumo, è quasi sempre dovuto alla presenza di oli ed essenze piuttosto che non a resine naturali e/o incenso vero e proprio. I bastoncini & simili possono essere accettabili per meditare, per piccoli lavori di purificazioni e profumare la casa, pur tuttavia, li sconsiglio vivamente nei rituali e nelle celebrazioni. Infine, un’ultima attenzione rispetto un equivoco dovuto all’uso comune della parola incenso… sotto la denominazione incenso si intende comunemente, una miscela composta da resine e/o erbe e/o legni e/o oli essenziali ma, in realtà, l’incenso propriamente detto (chiamato anche Olibano o Franchincenso) è una resina essudata da una e una pianta sola: la Boswellia Carterii. Per la verità, esistono numerosissime varietà di Boswellie, con resine che hanno profumi anche diversissimi (ad esempio, il Beyo e il Salai Guggul sono assai distanti l’uno dall’altro come aromi). Medesimo discorso è valevole per la ‘Mirra’, ossia la resina essudata dalle burseracee della specie Commiphora… ne esistono moltissime diverse in aroma e fragranza. Volendo e potendo, dunque, esistono tantissime combinazioni da poter sperimentare. Tuttavia, considerate che nei tempi più remoti, al raro incenso era spesso sostituita comune resina di conifera, oppure mirto, o alloro e che, comunque, il senso dell’offerta non sta nella grandiosità o nel costo, quanto piuttosto nell’intento. “Di semplici offerte si allietano gli dèi. Ed ecco la prova. Quando si offrono loro ecatombi, sulle oblazioni tutte, infine, anche l’incenso si pone, quasi che le altre, abbondanti offerte già fatte non fossero per loro che vana spesa, mentre proprio questo minuscolo omaggio è gradito agli dèi” (Antifane).

Braci e carboncini

Per utilizzare incensi in grani, a meno che non desideriate offrirli gettandoli su un fuoco preferendone l’uso classico che se ne fa in un turibolo, avete due possibilità: i carboncini con innesco d’accensione o preparare della brace in modo classico. Vediamo assieme le due opzioni:
1) I cosiddetti “carboncini” sono delle compresse di carbone contenenti un poco di salnitro che si accendono rapidamente creando una sorta di piccola brace istantanea della durata variabile di 30-50 minuti a seconda della qualità. Rispetto a questi , non acquistateli considerando solo l’economicità. Quelli di produzione orientale, ad esempio, classicamente hanno difficoltà ad accendersi e una durata ridotta perché nell’impasto sono miscelate polveri inerti che fanno volume ma che non contribuiscono alla combustione. Provatene più marche considerando questi tre fattori: rapidità di accensione, durata e odore/quantità di fumo durante e dopo l’accensione. A mio sommesso avviso, i migliori sono di produzione italiana. Due piccoli trucchi dettati dall’esperienza: a) i carboncini assorbono molto l’umidità (a causa del salnitro che è igroscopico) e ciò può rendere la loro accensione difficile; per evitare questo, conservateli in un barattolo chiuso, dove, volendo potrete aggiungere bustine di silica gel (che potete trovare e recuperare da molti imballaggi moderni); b) Per il medesimo motivo, lasciare i carboncini sul termosifone o al sole estivo qualche ora prima di un rituale potrà essere un ulteriore aiuto.

2) Prima dell’utilizzo dei carboncini moderni, la cui praticità è innegabile, si utilizzavano semplicemente delle braci. Le braci di legno, rispetto a quelle di carbone, hanno però la tendenza ad avere una minore durata a parità di volume e, quando completamente vive, faranno incendiare le resine piuttosto che bruciarle lentamente senza fiamma. Volendo ovviare a questi piccoli problemi, per fare brace preferite legni pesanti e densi come la quercia, il faggio e il frassino (che non a caso hanno sempre avuto un valore sacrale in tante culture e religioni antiche). Infine, onde evitare che le resine si incendino, aspettate che le braci si coprano di un sottile strato di cenere o aggiungetene un poco voi prelevandola dal focolare. Un trucco senz’altro non usato dagli antichi è quello di posare sulle braci un foglio di alluminio, sul quale metterete le resine, ma non amo molto questa tecnica e personalmente la sconsiglio. Infine, abbiate la precauzione di non utilizzarle in locali eccessivamente angusti ed arieggiate la stanza dopo l’uso: la combustione, infatti, genera sempre una piccola quantità di monossido di carbonio che è notoriamente pericoloso.

Un turibolo fai da te

Nel caso non possediate un turibolo o un oggetto adeguato per contenere dei carboncini (o delle braci – e in questo caso suggerisco di avvalersi di un braciere), potrete arrangiarvi senza fare spese folli utilizzando materiali che sono sicuramente presenti in qualsiasi casa. Potete utilizzare un qualsiasi contenitore, in vetro o in ceramica, come una tazza, o una scodella, avendo l’accortezza di riempirlo di sale o di sabbia facendo un fondo di almeno 2-3 centimetri sul quale poserete il carboncino. Il sale o la sabbia faranno da isolante termico fra il carboncino e il contenitore evitando che questo si crepi o si rompa a causa del calore. Volendo, potreste anche cercare una pietra sufficientemente concava da consentire un alloggio stabile per il carboncino, ma solo il tempo dirà se questa sarà sufficientemente robusta per non creparsi con il calore e in grado di isolare le superfici circostanti (io, ad esempio, da circa 25 anni utilizzo una pietra lavorata, sempre la stessa, ed è ormai talmente intrisa d’incenso da essere oramai profumata)



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